La portai a casa, prelevandola dall’allevamento di un amico, quando aveva circa un anno di età. Scartata in quanto displasica, figlia di Quando von Arminius, non era una vera bellezza, un po’ chiara, sorella sfortunata di una certa Gabi che ebbe titoli e risultati importanti.
Lei no, un carattere indomito e un istinto materno eccezionale. All’epoca, nel ’70, non si andava tanto per il sottile, nel circuito SAS c’era il controllo riproduttori che sanciva l’idoneità dei soggetti alla riproduzione e solo successivamente vennero introdotte tutte le regole che via via hanno portato ai controlli attuali e alla selezione del Pastore Tedesco come oggi intesa.
Quindi la mia Gipsi riprodusse diverse cucciolate, una grande produttrice, 9/10 cuccioli per cucciolata.
Dopo il parto, nel giro di un paio di giorni, creava i due gruppi separati di cuccioli da allattare: prima da una parte allattava il primo gruppo e poi si voltava e allattava il secondo gruppo. Teneva i due gruppi separati in modo intransigente, sembrava avesse il dono di trasmettere ordini perentori con una dolcezza infinita. Non mi permetteva di alimentare i cuccioli fino ai 45gg. Allattava fino allo svezzamento che operava rigurgitando il proprio mangiare davanti ai piccoli reso morbido e più digeribile. Dopo qualche tempo mi permetteva di inserire la ciotola per i piccoli che a poco a poco allontanava da se. Non l’ho mai vista agitata o nervosa, il suo tono mai troppo forte ma perentorio, il suo brontolio profondo catturava la totale attenzione dei cuccioli che sembravano tanti scolaretti attenti sui banchi di scuola. Mai un morso o un gesto inconsulto verso i suoi piccoli.
Mi trasferii nella casa di campagna nel ’92, mio figlio Manuel aveva 4 anni. La nostra casa era un vecchio caseificio ristrutturato. Avevo preparato i ricoveri dei miei cani in un recinto di fronte alla casa, dove avevo realizzato, utilizzando vecchie gabbie per vitelli, dei box rialzati, in legno, sufficientemente ampi e comodi seppur di economica costruzione.
Solitamente nel pomeriggio, dopo il lavoro, mi sedevo sul retro di questi box, fuori dal recinto, e pulivo le pietre antiche che avrei utilizzato per le rifiniture della ristrutturazione da completare.
Manuel veniva, a volte a vedere e a giocare vicino a me gettando i sassi nel canale che costeggiava la proprietà.
Quel pomeriggio avevo liberato i miei nove pastori tedeschi nel recinto davanti ai box, li tenevo d’occhio mentre ero intento a pulire pietre, non permettendo che si azzuffassero. Erano abituati e la cosa era veramente improbabile, poi sotto lo sguardo attento della Gipsi nulla poteva succedere senza che io ne fossi informato dal suo tono. Mia moglie andò a prendere Manuel all’asilo, la giornata era calda e il bambino uscì subito in cortile. Mi chiamò “papà posso venire?” io gli risposi di si mentre continuavo a lavorare. Attesi di vederlo arrivare correndo, non valutando l’attimo di troppo che ci metteva.
In un attimo raggelai: buttai a terra tutto quello che avevo in mano e mi misi a correre per girare intorno al recinto fino all’ingresso posto nella parte opposta, col terrore che fosse entrato nel recinto, confidando che la catenella di sicurezza, che bloccava il chiavistello della porta, avesse fermato il piccolo, anche se sapevo che più volte mi aveva aiutato ad aprirla.
Vi lascio solo immaginare i pensieri di un padre in quegli attimi, non perché avessi timore dei miei cani che tra l’altro conoscevano il bambino, ma la paura che potesse succedergli qualcosa in quanto tutti liberi avrebbero potuto fargli del male anche in modo involontario per gioco.
Arrivai davanti alla porta e quello che vidi mi riempì così tanto il cuore quasi da farlo scoppiare: sì Manuel aveva tolto la sicura e aperto il chiavistello, era entrato nel recinto e aveva appoggiato le sue manine sulla schiena della Gipsi che, messa di traverso all’ingresso, bloccava il bambino tra se e la porta, tenendo testa agli altri otto cani a cui non permise di avvicinarsi a lui. Manuel sorridente e tranquillo, forse valutava molto buffa la Gispi con quelle labbra appena arricciate in una specie di ghigno, la testa alta, immobile. Solo io sapevo quanto fosse pronta a scattare. I cani di fronte disposti a ventaglio si tenevano a distanza di sicurezza da quei denti segno indiscutibile della sua autorità.
Entrai con calma, per non rompere l’equilibrio presente, presi Manuel in braccio e lo misi sulle spalle, solo allora la Gipsi si spostò e arrivarono tutti a farci le feste eppure, anche in quel momento, lei, leggermente in disparte, era attenta a valutare tutti i particolari e i dettagli di quello che avveniva intorno, ai suoi occhi neri non sfuggiva niente e quando mi guardò sembrò mandarmi un cenno e un messaggio: tutto a posto.
Sono passati più di vent’anni, da quell’episodio, che, però, mi ritorna spesso in mente. Tutte le volte che sento di atti eroici di cani, quando guardo i vecchi e nuovi arrivi in allevamento, quando cerco di valutarne le tendenze e i caratteri, credo di andare alla ricerca di quelle conferme che la Gipsi in un istante mi ha servito sul più bel piatto che si possa avere: la vita.